I Canti di Castelvecchio, dedicati da Pascoli alla madre, sono pubblicati a Bologna nel 1903, con aggiunta di testi nelle successive edizioni.
Il titolo I Canti di Castelvecchio rimanda al mondo appartato di Castelvecchio di Barga, dove il poeta ha ricostituito il nido familiare insieme alla sorella Maria. Inoltre, sembra riferirsi ai Canti di Leopardi. La raccolta si colloca, per i temi e per lo stile, sulla scia di Myricae.
Le immagini serene della vita di campagna e i ricordi familiari diventano un rifugio dal mondo esterno e dal mistero della morte.
La collocazione delle liriche nella raccolta è attentamente studiata secondo un ordine che segue il trascorrere delle stagioni. Al tema naturalistico del ciclo delle stagioni, simbolo dell’alternanza di vita e di morte, si unisce quello autobiografico dell’uccisione, rimasta impunita, del padre e delle oscure presenze dei morti, gelosi protettori del “nido”.
Ne I Canti di Castelvecchio, rispetto a Myricae, emergono temi inquieti e morbosi legati al desiderio inappagato d’amore del poeta. Lo stile è improntato al simbolismo: il linguaggio poetico è analogico e ricco di sfumature nascoste. Sintassi e lessico mescolano diversi registri, dall’aulico a quello del quotidiano.
Tra le poesie più evocative della raccolta, ricordiamo Il gelsomino notturno.