Giovanni Pascoli

Myricae di Pascoli

Myricae è la prima raccolta poetica di Pascoli: la prima edizione è datata 1891. Le edizioni successive sono del 1892, 1894, 1897 e 1900. Ci sono IX° edizioni totali, che comprendono 156 componimenti.

Pascoli interviene sulla raccolta più volte e aggiunge vari testi: la raccolta, come gran parte delle sue opere, cresce su se stessa. È come se Pascoli lavorasse sempre sullo stesso nucleo, seguendo una spirale, viene trattato sempre lo stesso tema, ma in maniera approfondita e aggiornata.

Myricae è un termine latino che indica le tamerici, degli arbusti bassi. Il titolo della raccolta è ripreso da un passo di Virgilio presente nella IV ecloga delle Bucoliche che recita Non omnes arbusta iuvant humilesque Myricae, cioè Non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici.

Pascoli riprende questi versi e li mette nel frontespizio della prima edizione, ma toglie le parole non omnes, mutandone il significato. Pascoli, con la sua poesia, vuole rappresentare oggetti umili, modesti come le piante di tamerici.

La poesia di Myricae viene considerata agreste a causa dello sfondo campagnolo e delle descrizioni delle attività lavorative, delle stagioni e del loro avvicendarsi, i ritmi del lavoro e gli animali. Poco presenti sono gli uomini e se vengono citati sono solo figure di sfondo. Oltre alla campagna vengono toccati temi legati alla morte, alle persone scomparse, alla memoria. Quella di Myricae è una poesia di dolore e lutto.

La natura è concepita diversamente da Leopardi, poiché Pascoli ne ha una visione positiva. Egli sceglierà di andare a vivere in campagna, in mezzo alla natura, dove è possibile una vita secondo ritmi e tempi che sono più vicini alla sensibilità dell’uomo e dove può sentirsi più protetto; a differenza della città dove l’uomo non è protetto, si spersonalizza, passa da individuo a massa, cambia, perde la serenità.  La natura è idealizzata: in realtà la vita dei contadini è dura, faticosa, il lavoro massacrante, non sempre coronato da soddisfazione.

La realtà è fantastica e non realistica e violenta come quella rappresentata da Verga nella Vita nei campi e nelle Novelle rusticane. La sensibilità di Pascoli rimanda al Decadentismo: egli proietta i suoi sentimenti sulla natura, specchio di inquietudini, angosce e ricordi.

Pascoli ripropone le forme metriche della tradizione italiana, ma le scardina dall’interno: la raccolta Myricae è caratterizzata da componimenti brevi, privi di nessi logici, ricchi di interpunzioni, incisi ed enjambements. È una poesia in cui prevale la coordinazione sulla subordinazione, dipende anche dal fatto che se la realtà ha dei nessi che non possono essere colti, questo si deve notare a livello sintattico.

Inoltre, si dice che Pascoli abbia un raccordo eretico con la tradizione italiana che è sia di accordo, come per l’uso del sonetto, che di rottura, come l’utilizzo nuovo della punteggiatura.

Per quanto riguarda il linguaggio di Pascoli, Contini lo ha suddiviso su tre livelli:

  • Grammaticale: la lingua utilizzata è quella codificata dalla grammatica.
  • Agrammaticale: uso di parole che non appartengono all’uso comune come le onomatopee.
  • Postgrammaticale: uso di un linguaggio specifico e settoriale.

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