Triveneto

Visitare Villa Barbarigo: un itinerario della salvezza

Il mio viaggio sui Colli Euganei continua alla volta di Villa Barbarigo, in Valsanzibio. Lasciata la casa del Petrarca, e il dolce riso di Laura, che ancora non abbandona il mio animo romantico, mi sono diretta verso una nuova e incredibile bellezza.

Nella seconda metà del Seicento, Francesco Zuane Barbarigo, nobile veneziano, ha commissionato la costruzione di una ricca villa veneta nella zona di Valsanzibio. Negli anni della peste, la famiglia Barbarigo scelse di compiere un voto solenne a Dio proprio per sconfiggere la pestilenza.

Che non è il Sole il Sole se non è solo.

Statua di Apollo, Giardino di Villa Barbarigo

Come è noto, molte famiglie veneziane abbienti avevano scelto di concentrare la maggior parte delle loro ville nella zona della Riviera del Brenta, tuttora conosciuta, oltre che per il patrimonio storico-artistico, per la produzione calzaturiera di lusso (che proprio dai veneziani ha avuto origine). In Valsanzibio, Villa Barbarigo rappresenta un unicum, l’unica stella nel firmamento della ricca famiglia.

Il giardino della Villa, la cui storia è impressa in più di trecentocinquanta anni, è un percorso allegorico che conduce l’anima del visitatore verso la Salvezza. Questo giardino è stato progettato dall’architetto pontificio Luigi Bernini secondo il volere del Cardinale Barbarigo. Un viaggio verso la salvezza che mi fa pensare a quelle anime purganti dantesche in attesa di ire a farsi belle.

Il percorso di salvificazione inizia dal Portale di Diana, antico ingresso via acqua alla tenuta. Un tempo si poteva accedere alla villa tramite la valle da pesca di Sant’Eusebio, che portava fino a Venezia. Protettrice di questo accesso è Diana, la signora delle selve, degli animali selvatici, custode di fonti e torrenti, ma anche difenditrice delle donne. Appena mi sono fermata a guardare questo incanto, mi sono sentita subito abbracciata da una sensazione incredibile, come se avessi davvero iniziato un percorso verso la riscoperta di me stessa.

Passando sotto l’arco di un anziano calvo, peloso e dai tratti animaleschi, che altri non è se non un sileno, ho iniziato il mio viaggio. Ho camminato lungo il Viale delle Peschiere, guardando di tanto in tanto il Bagno di Diana, ma senza sporgermi troppo. Due cigni neri, custodi silenziosi della tenuta, mi si avvicinavano ogni tanto con fare circospetto. Ciò nonostante, ho deciso di rischiare e mi sono appoggiata al bagno, vicino ad un’acqua che a poco a poco diventava cristallina e pura.

Un attimo dopo mi sono trovata davanti alla Fontana dell’Iride, che cela in sé un segreto: l’arcobaleno. Sembrava che la dea Iris, vestita di gocce iridescenti, svolazzasse tra gli schizzi della fontana!

Aria e acqua si sono unite, per lasciare il passo alla Peschiera dei Venti, dove Eolo ci accoglie. Il distico sotto il dio recita: «Dei Venti Eolo signor li scioglie e lega.»

Arrivata al centro del giardino, ho trovato la Fontana della Pila. Una luce ideale scorre nelle acque di questa fontana di marmo rosso, che rappresenta il segno di svolta del nostro itinerario.

Ancora dubbiosi, pieni di angosce e paure, ci imbattiamo di fronte ad un altro ostacolo: il labirinto. Un intreccio di corridoi e gallerie, trabocchetti e inganni, che ci può condurre verso una torretta. Dall’alto è più facile guardarsi intorno e capire il proprio percorso. Succede lo stesso nel nostro quotidiano, quando cerchiamo un appiglio un po’ più in alto, o magari appoggiamo i nostri piedi su un paio di scalini, e ci sembra di vedere ogni cosa da un punto di vista differente.

Le scorciatoie del labirinto non sono altro che dei tranelli: in realtà, appena ci sembra di aver trovato la strada giusta, ci rendiamo conto di dover tornare sui nostri passi e continuare quel cammino difficile, lento, ma che ci può portare alla salvezza.

Quando ci rendiamo conto di aver compiuto la scelta giusta, è il tempo di spostarsi alla Grotta dell’Eremita. Come per ogni scelta, dopo aver abbandonato i nostri folli voli, non possiamo far altro che rifugiarci in una riflessiva solitudine. Ci accovacciamo lì per un po’, quanto basta per meditare sui nostri passi e riprendere il nostro cammino.

Ritornati alla Fontana della Pila, al centro del giardino, alcune statue segnano il nostro iter salvationis e ci ricordano qual è la condizione dell’essere umano.

Siamo come conigli; nasciamo, cresciamo e muoriamo, restando sempre confinati tra i fili del tempo e la dimensione dello spazio. Questo messaggio ci è lasciato dall’Isola dei conigli, simbolo dell’imperfezione umana, che ci invita a riflettere ancora una volta. Lo stesso monito è portato dalla Statua del Tempo, Crono, che appare fermo e coi piedi a terra, anche se potrebbe spiccare il volo da un momento all’altro.

Il viaggio continua, così come le insidie che rallentano il nostro cammino. Non possiamo fermarci proprio ora, anche se la Fontana degli Scherzi d’acqua sembra invitarci al riposo. Eppure, se sostassimo, saremmo colpiti dagli spruzzi della fontana, senza raggiungere la nostra meta.

Arriviamo alla Scalinata del Sonetto per essere accolti da due fiere. Le lonze ci guardano di sottecchi, sembrano volerci attaccare, ma in realtà hanno soltanto una gran sete. Queste linci maculate mi ricordano le lonze lussuriose che abitano l’inferno di Dante.

Curioso viator che in questa parte
giungi e credi mirar vaghezze rare
quanto di bel, quanto di buono qui appare
tutto deesi a Natura e nulla a Arte


Qui il Sol spendenti i raggi suoi comparte
Venere qui bella esce dal mare
sue sembianze la Luna ha qui più chiare
qui non giunge a turbar furor di Marte


Saturno quivi i parti suoi non rode
qui Giove giova et ha sereno il viso
quivi perde Mercurio ogni sua frode


qui non ha loco il pianto, ha sede il Riso
della Corte il fulmine qui non s’ode
ivi è l’Inferno e qui il Paradiso.

Dopo aver letto il sonetto, noi viaggiatori abbiamo compiuto il nostro iter salvationis e possiamo finalmente approdare al Piazzale delle Rivelazioni. Il giardino ci offre alcuni doni, come abbondanza, felicità, delizia, riposo, virtù, genio e saggezza.

A questo punto, la nostra mente è stupita e turbata allo stesso tempo, immersa in un’estasi che il giardino, come pochi altri, è in grado di ridestare.

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