Toscana

Castelvecchio Pascoli

Castelvecchio Pascoli è una frazione di Barga, che ospita la casa di campagna del nostro amato letterato.

Pascoli è il mio poeta preferito fin da bambina. È il poeta della mia tesi di laurea triennale, ma soprattutto è il poeta dei versi più delicati della mia adolescenza.
Ho versato lacrime come stelle di San Lorenzo, ho provato paura e angoscia tra lampi, tuoni e temporali e mi sono innamorata tra i petali un poco gualciti del gelsomino.

Avere partecipato al Premio nazionale di poesia L’ora di Barga e avere ricevuto il premio speciale dedicato al Fanciullino, mi ha resa davvero felice. Ho potuto visitare Barga e Castelvecchio, ho camminato tra le vie dove passeggiava Pascoli insieme a Gulì, il suo cagnolino, e mi sono persa tra il labirinto delle stanze di Casa Pascoli.

Come sappiamo, Barga non è la città natale del poeta. Pascoli nasce a San Mauro di Romagna, ma decide di trasferirsi a Barga, in Toscana, perché si innamora di questo paesino di poche anime. Come dargli torto!

Dal 1895 al 1912, anno della sua morte, Pascoli vive con la sorella Mariù nella sua casa di Castelvecchio, ma se ne allontana durante i periodi in cui esercita la professione di docente. Nel 1895, proprio mentre insegna a Livorno, Pascoli matura l’idea di voler vivere in un posto tranquillo: una casa di campagna. Alcuni colleghi gli permettono di scoprire l’esistenza di questa piccola perla toscana; Pascoli ne resta affascinato, e decide di affittare una villa settecentesca a Castelvecchio, che ancora oggi possiamo visitare.

A Barga respiriamo e tocchiamo con mano la poesia. Non solo rivivendo i luoghi del poeta a piccoli passi, ma anche sedendoci sulle panchine disseminate lungo le vie della città, che ospitano i suoi versi.

Basta un attimo per perdersi davanti allo spettacolo della Valle del Serchio, incastonata tra gli Appennini e le Alpi Apuane, scenario di poesie e riflessioni suggestive.

Mettiamoci in cammino Sulle orme del poeta, un percorso pascoliano organizzato dalla Fondazione Pascoli per valorizzare la cultura che pervade la città.

Lasciato il Monumento al Senatore Mordini, amico del Pascoli, si attraversa Porta Reale, una delle porte che danno accesso alla centro storico di Barga. Fermandosi a Palazzo Baldini, è rievocata la presenza del poeta. Baldini, scultore e pittore, ha intagliato i due inginocchiatoi presenti nella cappella di Casa Pascoli, dove Giovanni e Mariù riposano insieme per tutta l’eternità.

Si procede verso il Convento di Santa Elisabetta, trasformato in educandato nei primi anni del Novecento. Pascoli, che non solo è stato insegnante, ma anche ispettore per il Pubblico Ministero, avrebbe definito questo luogo «la fucina delle maestrine di montagna». Infatti, nonostante il riferimento sembri sprezzante, si ricordi che Pascoli, a Bologna, ha insegnato anche a maestre e maestri, perché teneva un Corso di perfezionamento per i maestri.

A Barga, Pascoli aveva numerosi amici e amava intrattenersi con le persone del posto, che gli offrivano sempre nuovi spunti per la sua poesia. Ci sono due case contigue, nella città, che hanno entrambe un’impronta del poeta. La casa della famiglia Salvi ospita una targa scritta da Pascoli, mentre a casa Magri è nato un pittore, Alberto Magri, che ha saputo rappresentare la sua poetica.

Poesie, parole, quadri e segni di pennellate… ma lo sentite anche voi il suono delle campane che riecheggia tra le vie della città? Il duomo di Barga risuona tra le parole del poeta ne L’ora di Barga.

«Al mio cantuccio, donde non sento
se non le reste brusir del grano,
il suon dell’ore viene col vento
dal non veduto borgo montano:
suono che uguale, che blando cade,
come una voce che persuade.

Tu dici, È l’ora, tu dici, È tardi,
voce che cadi blanda dal cielo.
Ma un poco ancora lascia che guardi
l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo,
cose ch’han molti secoli o un anno
o un’ora, e quelle nubi che vanno.»

Il suono di queste campane è talmente forte da arrivare fino a Castelvecchio, alla casa di Pascoli, che lo sente da lontano. Ecco la poesia incisa su questa panchina proprio di fronte al Duomo, dove possiamo rileggere L’ora di Barga.

Dopo essere saliti fino al Duomo, che offre una vista fantastica, mi sembra il momento giusto per andare a bere una limonata al Caffè Capretz. Sui tavolini ormai un po’ retrò, Pascoli ha scritto lettere e cartoline, e nel 1905 ha festeggiato la nomina a professore di Letteratura italiana presso l’Università di Bologna.

Lasciata Piazza Angelio, dedicata all’umanista, si arriva presso il Teatro degli Indifferenti. Pascoli aveva sempre sognato di vedere musicata una sua opera, ma non ha successo nel teatro. L’ultimo discorso del poeta, alcuni mesi prima della sua morte, è pronunciato qui. Nel 1911, Pascoli sostiene l’impresa in Libia con il discorso La grande proletaria s’è mossa.

Da non dimenticare l’ospedale di San Francesco, apprezzato dal poeta. Nel vestibolo ospita un distico latino del poeta, che recita Aegroti debent auris artique salutem et donaturo quantulacumque tibi [I malati sono debitori della loro salute all’aria buona e alla scienza medica, e anche a te, per la tua offerta, modesta che sia].

A Barga non si respira solo un’aria buona, ma rime, versi e parole che sanno di bellezza e bontà.

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