La casa del Petrarca ad Arquà è una meta obbligata per appassionati di Letteratura. Arquà si trova al centro dei Colli Euganei ed è stata l’ultima dimora di una delle tre corone fiorentine.
«Mi sono costruito sui Colli Euganei una piccola casa, decorosa e nobile; qui conduco in pace gli ultimi anni della mia vita, ricordando e abbracciando con tenace memoria gli amici assenti o defunti.»
(Sen., XIII, 7)
Nell’ultima parte della sua vita, grazie al dono del Signore di Padova, Francesco I da Carrara, il poeta laureato si è spostato definitivamente ad Arquà, dove è rimasto fino al 1374, anno della sua morte. La casa del Petrarca, che si affaccia su un paesaggio che ricorda il locus amoenus virgiliano, è abbracciata da un giardino molto curato, che in passato ospitava anche l’orticello del poeta. Gli interni della dimora, affrescati da Paolo Valdezocco nel Cinquecento, sono ispirati alle opere più famose del poeta, come il Canzoniere, i Trionfi e il poema epico l’Africa.
Eccomi pronta ad aggirarmi in questo luogo meraviglioso, un po’ emozionata di ripercorrere la vita del poeta, e ancora ignara di quanta bellezza e cultura avrei potuto toccare.
Visitiamo insieme la casa del Petrarca e perdiamoci tra le sue stanze.
Tornando a noi, la casa del Petrarca ci accoglie con una splendida canzone.
«Nel dolce tempo de la prima etade,
che nascer vide et anchor quasi in herba
la fera voglia che per mio mal crebbe,
perché cantando il duol si disacerba,
canterò com’io vissi in libertade,
mentre Amor nel mio albergo a sdegno s’ebbe.»
La stanza centrale della casa, detta delle Metamorfosi, è ispirata alla canzone Nel dolce tempo della prima etade del Canzoniere, dove il poeta racconta delle trasformazioni subite per l’amore della sua Laura.
La prima trasformazione del poeta, ad opera di Laura e di Amore, è in lauro, quell’albero tanto caro ad Apollo, le cui foglie cingono i capi degli uomini di grande valore.
«e i duo mi trasformaro in quel ch’i’ sono,
facendomi d’uom vivo un lauro verde,
che per fredda stagion foglia non perde.»
Dalla regno vegetale, si passa a quello animale: Petrarca diventa uno splendido cigno, proprio come era accaduto a Zeus, quando aveva voluto avvicinare Leda, la splendida regina di Sparta.
« et già mai poi la mia lingua non tacque
mentre poteo del suo cader maligno:
ond’io presi col suon color d’un cigno.»
Quando Laura strappa il cuore del poeta, egli si trasforma in un sasso. Eppure lo si sa, come insegna Niobe, che aveva chiesto a Zeus di essere trasformata in pietra, che anche da sassi non si smette di soffrire; anzi, le lacrime continuano a scorrere sulla dura pietra.
«Questa che col mirar gli animi fura,
m’aperse il petto, e ’l cor prese con mano,
dicendo a me: Di ciò non far parola.
Poi la rividi in altro habito sola,
tal ch’i’ non la conobbi, oh senso humano,
anzi le dissi ’l ver pien di paura;
ed ella ne l’usata sua figura
tosto tornando, fecemi, oimè lasso,
d’un quasi vivo et sbigottito sasso.»
Come Ciane, la ninfa che si era opposta al rapimento di Persefone da parte di Ade e che per questo era stata trasformata in fonte, così Petrarca, quando incontra nuovamente Laura, subisce la stessa metamorfosi.
«Ivi accusando il fugitivo raggio,
a le lagrime triste allargai ’l freno,
et lasciaile cader come a lor parve;
né già mai neve sotto al sol disparve
com’io sentí’ me tutto venir meno,
et farmi una fontana a pie’ d’un faggio.
Gran tempo humido tenni quel vïaggio.
Chi udí mai d’uom vero nascer fonte?
E parlo cose manifeste et conte.»
Un sibilo del poeta riecheggia lontano: un’eco sottile proprio come quella della dolce Eco, innamorata del vanesio Narciso, che si era consumata d’amore, mentre il suo amato aveva preferito a lei un misero ed effimero specchio.
«Ma nulla à ’l mondo in ch’uom saggio si fide:
ch’ancor poi ripregando, i nervi et l’ossa
mi volse in dura selce; et così scossa
voce rimasi de l’antiche some,
chiamando Morte, et lei sola per nome.»
Ancora, Petrarca si imbatte dinanzi a Laura, mentre sta facendo il bagno in una fonte. Allora, il poeta si trasforma in un cervo e fugge, proprio come accadde ad Atteone, quando si imbatté in Diana.
«Io, perché d’altra vista non m’appago,
stetti a mirarla: ond’ella ebbe vergogna;
et per farne vendetta, o per celarse,
l’acqua nel viso co le man’ mi sparse.
Vero dirò (forse e’ parrà menzogna)
ch’i’ sentí’ trarmi de la propria imago,
et in un cervo solitario et vago
di selva in selva ratto mi trasformo:
et anchor de’ miei can’ fuggo lo stormo.»
Infine, egli si trasforma in un’aquila, quell’«uccel che piú per l’aere poggia.»
La casa del Petrarca, accanto alla Stanza delle Metamorfosi, ospita la Stanza di Venere, dove Petrarca riposava. Qui troviamo addormentata la “donna” del poeta: la sua gattina. Si dice che i resti della gatta del Petrarca non siano autentici, ma realizzati nel Seicento da uno dei proprietari della casa.
Inoltre, stando ad una testimonianza in rete, in una probabile ultima lettera del poeta, che dovrebbe essere datata 8 luglio 1374, ma la cui firma è illeggibile, pare egli abbia dichiarato:
Eppure un giorno, ormai quasi due estati fa, una gatta è entrata a far parte della mia vita insidiandone il primato. Da allora, questi due esseri si contendono lo scettro del mio cuore combattendo una lunga lotta travagliata, che ancora non ha un vincitore, sul campo di battaglia dei miei pensieri e sentimenti.
Ciò di cui si è certi, è che sotto la teca che protegge la gattina si legge un’ode di Antonio Querenghi, dove si ricorda il duplice amore del Petrarca: la gattina ci ricorda che Laura è stata il secondo amore del poeta, perché è proprio lei la sua prima e unica donna.
Nella Stanza delle Visioni, dedicata alla lirica Standomi un giorno solo a la fenestra, sono presenti una serie di visioni legate alla vita del poeta. Tra i fregi, si nasconde anche un ritratto dello stesso Petrarca. Poche scene dopo compare un episodio che ha scosso la vita del poeta lacerandola: la dolorosa morte della sua Laura.
«come fior colto langue,
lieta si dipartio, nonché secura.
Ahi, nulla, altro che pianto, al mondo dura!
Nella Stanza dell’Africa, conosciuta anche come di Cleopatra o di Lucrezia, si raccontano le gesta di Scipione l’Africano. Nella stanza si possono incontrare tre donne: Cleopatra, Lucrezia e Saffo. Le eroine, suicide, rappresentano un trittico femminile cinquecentesco. Cleopatra morsa dall’aspide, Lucrezia morente e Saffo mentre si getta dalla rupe di Leucade.
Si conclude qui il viaggio tra le mura e i versi del Petrarca. Vi consiglio di portare con voi il Canzoniere e di sedervi, in qualche angolo di Arquà, a rimirare il panorama e a leggere le dolci parole del Petrarca.
Seguendo il tuo ottimo consiglio, oggi sono ritornato in quel bellissimo borgo per visitare la casa del sommo poeta, mai visitata in precedenza. Non solo lì, ma in tutta Arquà si respira poesia dietro ogni angolo, così come nelle pietanze squisite che si possono assaporare nelle buone trattorie o ristoranti. Ho potuto rileggermi nella cornice più adeguata alcune poesie dei Rerum Vulgarium Fragmenta, quindi, in ossequio alla tradizione di lasciare un segno scritto del proprio passaggio nella casa di Francesco, è stato facile e veloce trovare l’ispirazione per comporre un sonetto a lui dedicato. Non l’ho scritto sul muro di casa sua, come si presume avesse fatto l’Alfieri, ma nel quaderno all’interno della chiesa di Santa Maria Assunta, supervisionato dalle silenziose e travagliate ossa in riposo di Francesco.
Passando poi per Villa Barbarigo, sempre per tua gradita ispirazione, non mi sono fermato: una bellezza tanto magnifica avrebbe richiesto molto più tempo delle poche ore pomeridiane che avevo ancora a disposizione. Ho ripiegato su Monselice, consolandomi con una coppa gelato e il panorama da Villa Duodo.
Devo proprio ringrziarti per l’ispirazione che ha condotto a una così meravigliosa giornata!
Oggi uscita didattica ad Arquà con due classi terze di liceo scientifico … clima magico in un paesaggio ameno … atmosfera di relax e meditazione … cultura e dolcezza di vivere!